domenica 8 aprile 2012

La crisi economica del 2009

Faccio parte della task-force approntata dal Ministero delle Attività produttive e del Lavoro per fronteggiare la terribile crisi economica di quest'ultimo anno e che secondo molti esperti, checché ne pensi il nostro Governo, durerà a lungo. Ultimo anno è dir poco perché sono almeno due gli anni in cui stiamo, per dirla con una famosa trasmissione comica televisiva, sull'orlo del baratro… ma tant'è, i nostri governanti erano in tutt'altre faccende affaccendati e quindi solo da Marzo scorso siamo stati chiamati con urgenza all'operatività in questo settore.

In realtà gli operatori della suddetta task-force erano, e sono, i migliori operatori di un altro progetto. Un progetto di punta - un fiore all'occhiello del Ministero - che si occupa di incrementare e migliorare le opportunità occupazionali favorendo la partecipazione ed il reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori, soprattutto di quelli svantaggiati, attraverso azioni di incentivazione e formazione oltre che di sostegno. Uno staff di operatori magnificamente preparati e dediti, oltre ogni dire, al gravoso e poco soddisfacente compito della lotta per l'occupazione nel paese. Il meglio del meglio…

Eppure qui c'è una prima stranezza: io, infatti, sono una precaria. Una lavoratrice con un contratto di consulenza a tempo determinato. Un'unità lavorativa su cui si cerca di risparmiare.

Una precaria aiuta-precari. Contraddizione?

Voi direte: «Meglio! Così capirà profondamente la situazione di chi deve tutelare».
«Giusto», dico io «… però mi sembra che in tutto questo ci sia qualcosa che non torni».

E qualcosa che non torna in effetti c'è!!!

Nei primi giorni del mese scorso il nostro contratto era scaduto e già da qualche mattina non andavamo al lavoro. Agli inizi di questo mese però i nuovi contratti erano stati approntati (anche se per risparmiare volevano darci trecento euro in meno – «eh!, sa, essendo precaria… » dicevano all'ufficio del personale (...possiamo approfittarne, concludo io)) e mancava solo la nostra firma. Quindici giorni prima, sempre a contratto scaduto, eravamo stati comunque chiamati ad effettuare uno studio accurato sulla crisi economica per quanto riguardava il nostro settore di competenza e a proporre strategie di cooperazione tra gli attori istituzionali – leggasi Stato, confederazione degli industriali e sindacati – e tra altri operatori pubblici e privati con l'obiettivo di diminuirne gli effetti sulla disoccupazione che, con annesso calo del potere di acquisto, avrebbe potuto ingenerare un vizioso circolo deflattivo e recessivo.

Ma il nostro Governo, che ti fa? All'inizio di questo mese, ti approva un Decreto che qui per comodità chiameremo Scacciacrisi (sic!) e che blocca tutti i contratti di consulenza – in maggioranza precari – in essere o da poco scaduti.
Risultato: tutto il progetto di punta, tutte le attività della nostra task-force, le nostre analisi sulla crisi, il primo abbozzo relazionale sono azzerati brutalmente.
E chi fa lo studio, fondamentale, per combattere la crisi devastante che colpisce il nostro paese e il mondo intero?
Chi elabora le strategie per diminuirne il prezzo a carico soprattutto dei più poveri? Chi tesse la rete di rapporti, relazioni, convincimenti, coinvolgimenti, suggerimenti e quant'altro, per rendere operative quelle strategie?

Ma innanzitutto, come cavolo fanno dei precari a difendere altri precari?

La situazione era a dir poco ridicola. Ci veniva amaramente da ridere.
Dovevamo elaborare – per conto del Governo – strategie per difendere il paese ma la sua prima misura era tagliarci i fondi, azzerare il nostro lavoro, bloccarci i rinnovi, mandarci a casa. Assolutamente ridicolo e senza senso, ancor più della Tela di Penelope che in verità, per la sposa di Ulisse, un senso lo aveva.
E ci veniva anche da piangere perché per tanti di noi, con mariti, mogli, figli e con stipendi precari e saltuari il mancato rinnovo del contratto era come essere gettati sul lastrico.
Un mio collega si vergognava di dirlo alla moglie; altre colleghe erano spesso in preda in quei giorni di mancamenti e malesseri vari; altri brancolavano sull'orlo di un tracollo psichico dagli esiti a dir poco incerti.

Non vi dico in quei giorni le tensioni, le lotte, le assemblee, le mobilitazioni che abbiamo affrontato dannandoci l'anima ed il cuore. Tutto sembrava essere inutile. Addio lavoro, addio strategie, addio risorse, addio vita, rinnovamento, possibilità. Addio tutto.

Poi, quando stavamo per dichiararci vinti, come i Troiani di Kavafis, ecco la bella (ma surreale) notizia: il Governo ti approva, in commissione, un emendamento, che lascia tutto immutato, come due mesi prima.
Era la revoca del blocco… almeno fino al prossimo anno. Un anno di tempo quindi, una boccata d'aria tranquilla per almeno 365 giorni… 365 giorni al tramonto, parafrasando amaramente i maschietti.
Era la possibilità di compiere il nostro dovere, dare il nostro contributo, studiare, elaborare, approntare e mettere in atto le misure per ridurre il dolore, la crisi, la disoccupazione, la deriva del paese. Volevamo farlo, dovevamo farlo, lo avremmo fatto con tutte le nostre forze.

Ma un disagio profondo colpì tutti noi nei giorni seguenti. Avevamo l'impressione che la nostra situazione si risolvesse così come era stata creata... senza un perché o peggio, senza nessuna lungimiranza o capacità di pianificazione.
Ci sentivamo - ormai da tanto - nel regno dell'improvvisazione, in quel famoso mare magnum dove si naviga a vista. E la nostra precarietà era il paradigma di tutto ciò.

La contraddizione era sempre la stessa dell'inizio di questa storia: dei giovani precari dovevano difendere altri lavoratori, la maggior parte dei quali in stato di precarietà, cioè la condizione verso cui si sta dirigendo tutto il mondo del lavoro futuro.

Infine ci venne alla mente la considerazione che tutto doveva essere operativo per la fine dell'estate!
Come potrà esserlo? Ora siamo a fine luglio, ancora in alto mare, ancora all'inizio della nostra analisi, passo fondamentale per i nostri interventi successivi; in ritardo per i tre mesi di lotta contro il nostro smantellamento; sfiniti per la disperazione e l'apprensione.
Ad agosto la nostra azienda, se pur pubblica, chiude. Si sa che prima di metà, fine settembre, non si riesce mai a riavviare niente. Se ce la facciamo chiuderemo la fase di relazione alla fine del 2009. Nel 2010 dovremo cercare di convincere tutte le parti sulla giustezza della nostra proposta e poi applicarla. I tempi così si allungano, diventano biblici rispetto alla pericolosità del fenomeno. Prima della metà del 2010 non riusciremo ad intervenire sulle sue dinamiche…

Faremo in tempo? La crisi non si sarà aggravata così tanto da rendere inutili i nostri interventi? In questi accadimenti la velocità di intervento è essenziale. E se addirittura si fosse conclusa - oppure si prolungasse - magari con esiti drammatici per l'occupazione e l'economia del paese?

Non so cosa rispondere. Mi sento solo in colpa, inadeguata, passiva, coatta all'inefficacia. Un ingranaggio, una rotellina in questo mondo istituzionale e farraginoso. Ho paura per il mio futuro e per quello degli altri. In questo Bel Paese si fa un vano cianciare mentre tutto crolla intorno a noi. Quanto potrò, quanto potremo reggere?

Non riesco a darmi una risposta.

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