sabato 6 giugno 2009

Un racconto: Il premier

Quell'uomo era il suo anfitrione in politica, la persona a cui doveva tutto il suo successo, il suo protettore, il capo del suo partito, un partito vincente che governava da tempo il paese. Ora erano vicini per fare, insieme, le foto per la sua campagna elettorale. Sua, non del premier. Ecco… il premier... lui era lì, accanto, sorridente, nel suo doppiopetto blu scuro. Gli sorrideva, lo coccolava... il premier si fidava di lui, lo considerava una sua creatura ed aveva piacere a stargli accanto per aiutarlo nella competizione elettorale.
Mettendogli una mano sulla spalla, il premier gli sorrise e poi, guardando verso gli obiettivi, gli disse che si dispiaceva di non poter rimanere oltre le foto poiché aveva almeno altri quattro impegni in quel pomeriggio. «Ed almeno due la sera», aggiunse. Lui gli sorrise a sua volta sussurrandogli: «Grazie premier, non preoccuparti».

Lui sentiva a pelle questa atmosfera amichevole di sorrisi e pacche sulle spalle, di stima e di convenevoli, di argomenti politici da trattare, di progetti da definire. E sentiva anche altro. Sentiva che quell'uomo, il suo capo, il premier del suo partito, non gli piaceva. Anzi, avvertiva un vero e proprio odio verso di lui. In realtà sapeva che il premier era assolutamente corrotto e visto che egli era stato educato a sani principi morali provenendo da una schiatta di magistrati statali, pur non osando allontanarsi dalla corrente ideologica della sua stirpe, era disgustato dalla corruzione del suo capo. Ed il suo premier era la persona più corrotta che lui avesse mai conosciuto - e ne aveva conosciute. Quante ne aveva viste, sentite e scoperte su di lui e sul suo entourage più stretto. La mia famiglia, pensava, ha sempre impostato ad un equo comportamento il proprio rapporto con il mondo e con gli altri. Pur appartenendo all'alta borghesia abbiamo sempre cercato un equilibrio fra tutte le componenti del paese e della società. Il premier no. Il premier era solamente interessato al suo tornaconto personale. Come un maniaco ossessivo non aveva altra idea che coltivare – a tutti i costi - i propri interessi personali. E questi consistevano soprattutto nell’accumulare ricchezza e potere a danno di tutti. Questo, Guido - era il suo nome - non lo concepiva, odiava questo modo di fare – e di essere - con tutte le sue forze.

Per anni si era chiesto come poteva fare a mediare fra il disgusto che gli dava quell’uomo e la voglia di affermare la propria volontà e prassi politica anche all’interno di un partito che non brillava per desiderio di armonia sociale essendo una diretta emanazione delle classi più potenti. Non era riuscito a darsi una risposta non volendo neanche passare alla sponda, diciamo così, democratica, per non venir meno alle matrici ideologiche familiari. Eppure questo dilemma scavava nella sua coscienza, ne inibiva il comportamento, lo martoriava nell’anima e in tante notti lo faceva svegliare di soprassalto con mille rivoli di sudore freddo nella schiena. Il fatto era che Guido era una persona specchiatamente onesta e, in quel partito di falchi e rapaci profittatori sanguisughe delle ricchezze e risorse altrui, era assolutamente fuori luogo. Quindi il premier diventava anche il bersaglio dell’odio che egli nutriva per la prassi politica del partito in cui militava. Certo il premier era il corruttore dei corruttori, il padre di tutti i mali che affliggevano non solo il suo partito ma anche la coalizione di forze di cui faceva parte. Un bel casino, pensò per l’ennesima volta. Se non ci fosse lui, che era il maestro dei corruttori, sicuramente la vita del partito ne avrebbe beneficiato. Forze più portate agli interessi generali del paese avrebbero avuto maggiore voce. Alcuni leader di partiti oramai usciti dalla coalizione, leader portati meno verso il “particulare”, si sarebbero riavvicinati ed insieme avrebbero potuto battersi per la modernizzazione del paese e per rilanciare quella tanto attesa politica di riforme sociali ormai non più procrastinabile.

Sentiva che un giorno il suo odio sarebbe diventato così grande che non sarebbe più riuscito a frenarlo. Lo avrebbe eliminato, ucciso, accoltellato… forse proprio così… in un’occasione di questo genere. Pensò a Bruto ma non gli parve che il suo premier avesse la statura di un Cesare. Pensò anche che non era vero che la variante umana è insignificante. Pensò ad Hitler: se quel sergente inglese durante la prima guerra mondiale lo avesse ucciso forse non ci sarebbero stati Buchenwald od Auschwitz. Non è vero, non è vero - si disse - che tutti gli uomini - in un determinato contesto storico - si comportano allo stesso modo. Nessun uomo – ed in nessun luogo, fisico o storico – si comporta da variante insignificante.

Salutò sorridendo il premier con una stretta di mano ma avrebbe voluto dargli una coltellata al cuore.

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